L'Osservatorio su xenofobia e razzismo della Camera dei Deputati ha presentato i risultati di una ricerca SWG (campione: 2.000 interviste) su "Io e gli altri: i giovani italiani nel vortice dei cambiamenti" dalla quale emerge il dato allarmante della chiusura dei giovani italiani agli "altri":
- il 45% manifesta atteggiamenti di chiusura nei confronti degli stranieri;
- il 40 % manifesta atteggiamenti di apertura e accettazione;
1. i “Romeno-rom-albanese fobici”, 15,3% degli intervistati, manifesta la propria intolleranza soprattutto verso queste culture: la maggioranza (56%) è qui costituita da donne;
2. soggetti con comportamenti orientati apertamente al razzismo, 10,7% dei giovani, perchè rifiuta e manifesta fastidio per tutti, tranne italiani e europei.
3. gli "xenofobi per elezione" (cioè per scelta), pari al 20% dei giovani intervistati, ovvero quanti non esprimono forme di odio in modo violento ma nondimeno ritiene che le altre etnie debbano vivere fuori dall’Italia.
L’atteggiamento aperto appartiene solo al 39,6% del campione che si può a sua volta distinguere in:
a) “inclusivi” (19,4%) con un’apertura totale e serena alle diverse culture (55,3%);
b) “tolleranti” (14,7%);
c) “aperturisti tiepidi” (5,5%), ovvero giovani antirazzisti, ma con forme più caute e trattenute, minore interazione con gli stranieri e un riconoscimento più ridotto dell’omosessualità.
Nella posizione media, infine, ci sono i “mixofobici” (14,5%): non sostengono la chiusura ma neanche il suo opposto, anzi vivono con un sentimento di fastidio ciò che li allontana dall’identità italiana.
Europei, americani e anche gli italiani del Sud vengono apprezzati dai ragazzi italiani. Ma la cosa più preoccupante è la netta chiusura nei confronti di Sinti, Rom e romeni (cittadini europei, ma evidentemente considerati dai ragazzi di serie C). Dalla ricerca si evince infine che "Ii profilo più estremo del razzismo tra i giovani descrive una persona che ostenta superiorità e persistente bisogno di potenza. Ha atteggiamenti apertamente omofobici, spinte antisemitiche, convinzione dell'inferiorità delle donne. E non accetta nessuna razza o etnia diversa dalla propria. Un profilo che riguarda il 10,7 per cento dei giovani". La cosa più preoccupante è che questo 10,7% è una minoranza molto forte, con senso della comunità, coesa, omogenea e ideologicamente compatta. Basti pensare che su Facebook sono stati censiti circa 1.000 gruppi razzisti e xenofobi.
Colpisce soprattutto che a produrre il senso della comunità sia ormai solo il risentimento etnico. Una comunità è per definizione chiusa: rende omogenei i suoi membri e traccia chiari confini fra sé e ciò che è esterno ad essa, soddisfacendo a due bisogni importanti della convivenza umana, quello di un'identità a cui riferirsi e quello di una chiara differenza rispetto all'altro da sé. La comunità, il fare gruppo, dà un'"aria di famiglia", stabilizza sia dal punto di vista psichico che da quello sociale chi si sente "spaesato" di fronte ai flussi migratori e alle convivenze difficili che essi inevitabilmente generano.
Ci sarebbe poi da tornare su un altro grande tema indagato dalla psicologia sociale postbellica, ovvero se l'ostilità nei confronti dell'altro che manifestano i giovani italiani è propria della natura umana o è una costruzione sociale (cfr. Cotesta 2001, pp. 186-240). Se Adorno, nelle ricerche da lui coordinate sulla personalità autoritaria, aveva mostrato che alla base dell'ostilità nei confronti dell'altro vi è una componente di personalità (tratti autoritari della personalità) che una risocializzazione democratica potrebbe rendere migliore, Tajfel, nel suo studio su categorizzazione e stereotipi, ritiene che gli stereotipi sono un potente strumento cognitivo che consente di ridurre la complessità del mondo, riducendo la fatica che facciamo a interpretarlo e a decodificarlo. Ne consegue che gli stereotipi servono a dare un orientamento agli individui nelle relazioni sociali: sono come una guida semplificata per chi non sa o non vuole sforzarsi di "mappare" diversamente il territorio in cui si trova a vivere e ad agire. Semplificando, si sa, si vive meglio e Tajfel ne era consapevole.
Che i giovani tendano alla xenofobia e al razzismo significa allora, seguendo Tajfel, che essi sempre più rinunciano allo sforzo di comprendere il mondo e, quindi, anche di trasformarlo in un posto diverso, dove potrebbe essere più bello vivere.
Links e fonti:
Osservatorio della Camera sui fenomeni di xenofobia e razzismo (webtv)
Rassegna.it Sito di informazione su lavoro, politica ed economia sociale
- il 40 % manifesta atteggiamenti di apertura e accettazione;
- il 20% è apertamente ostile, vale a dire xenofobo e razzista.
Ne deriva che, fra i giovani italiani (fascia compresa tra i 18 e i 29 anni) le persone tolleranti e senza pregiudizi sono una minoranza.
Nella ricerca vengono distinti poi tre gruppi,1. i “Romeno-rom-albanese fobici”, 15,3% degli intervistati, manifesta la propria intolleranza soprattutto verso queste culture: la maggioranza (56%) è qui costituita da donne;
2. soggetti con comportamenti orientati apertamente al razzismo, 10,7% dei giovani, perchè rifiuta e manifesta fastidio per tutti, tranne italiani e europei.
3. gli "xenofobi per elezione" (cioè per scelta), pari al 20% dei giovani intervistati, ovvero quanti non esprimono forme di odio in modo violento ma nondimeno ritiene che le altre etnie debbano vivere fuori dall’Italia.
L’atteggiamento aperto appartiene solo al 39,6% del campione che si può a sua volta distinguere in:
a) “inclusivi” (19,4%) con un’apertura totale e serena alle diverse culture (55,3%);
b) “tolleranti” (14,7%);
c) “aperturisti tiepidi” (5,5%), ovvero giovani antirazzisti, ma con forme più caute e trattenute, minore interazione con gli stranieri e un riconoscimento più ridotto dell’omosessualità.
Nella posizione media, infine, ci sono i “mixofobici” (14,5%): non sostengono la chiusura ma neanche il suo opposto, anzi vivono con un sentimento di fastidio ciò che li allontana dall’identità italiana.
Europei, americani e anche gli italiani del Sud vengono apprezzati dai ragazzi italiani. Ma la cosa più preoccupante è la netta chiusura nei confronti di Sinti, Rom e romeni (cittadini europei, ma evidentemente considerati dai ragazzi di serie C). Dalla ricerca si evince infine che "Ii profilo più estremo del razzismo tra i giovani descrive una persona che ostenta superiorità e persistente bisogno di potenza. Ha atteggiamenti apertamente omofobici, spinte antisemitiche, convinzione dell'inferiorità delle donne. E non accetta nessuna razza o etnia diversa dalla propria. Un profilo che riguarda il 10,7 per cento dei giovani". La cosa più preoccupante è che questo 10,7% è una minoranza molto forte, con senso della comunità, coesa, omogenea e ideologicamente compatta. Basti pensare che su Facebook sono stati censiti circa 1.000 gruppi razzisti e xenofobi.
Colpisce soprattutto che a produrre il senso della comunità sia ormai solo il risentimento etnico. Una comunità è per definizione chiusa: rende omogenei i suoi membri e traccia chiari confini fra sé e ciò che è esterno ad essa, soddisfacendo a due bisogni importanti della convivenza umana, quello di un'identità a cui riferirsi e quello di una chiara differenza rispetto all'altro da sé. La comunità, il fare gruppo, dà un'"aria di famiglia", stabilizza sia dal punto di vista psichico che da quello sociale chi si sente "spaesato" di fronte ai flussi migratori e alle convivenze difficili che essi inevitabilmente generano.
Ci sarebbe poi da tornare su un altro grande tema indagato dalla psicologia sociale postbellica, ovvero se l'ostilità nei confronti dell'altro che manifestano i giovani italiani è propria della natura umana o è una costruzione sociale (cfr. Cotesta 2001, pp. 186-240). Se Adorno, nelle ricerche da lui coordinate sulla personalità autoritaria, aveva mostrato che alla base dell'ostilità nei confronti dell'altro vi è una componente di personalità (tratti autoritari della personalità) che una risocializzazione democratica potrebbe rendere migliore, Tajfel, nel suo studio su categorizzazione e stereotipi, ritiene che gli stereotipi sono un potente strumento cognitivo che consente di ridurre la complessità del mondo, riducendo la fatica che facciamo a interpretarlo e a decodificarlo. Ne consegue che gli stereotipi servono a dare un orientamento agli individui nelle relazioni sociali: sono come una guida semplificata per chi non sa o non vuole sforzarsi di "mappare" diversamente il territorio in cui si trova a vivere e ad agire. Semplificando, si sa, si vive meglio e Tajfel ne era consapevole.
Che i giovani tendano alla xenofobia e al razzismo significa allora, seguendo Tajfel, che essi sempre più rinunciano allo sforzo di comprendere il mondo e, quindi, anche di trasformarlo in un posto diverso, dove potrebbe essere più bello vivere.
Links e fonti:
Osservatorio della Camera sui fenomeni di xenofobia e razzismo (webtv)
Rassegna.it Sito di informazione su lavoro, politica ed economia sociale
Th.W. Adorno et al.: La personalità autoritaria, tr. it. Milano 1997.
G. Allport, 1954: La natura del pregiudizio, tr. it. Firenze 1976.
V. Cotesta, 2001: Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale, Roma-Bari.
B.M. Mazzara, 1997: Stereotipi e pregiudizi, Bologna.
H. Tajfel, 1981: Gruppi umani e categorie sociali, tr. it. Bologna 1995.
G. Allport, 1954: La natura del pregiudizio, tr. it. Firenze 1976.
V. Cotesta, 2001: Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale, Roma-Bari.
B.M. Mazzara, 1997: Stereotipi e pregiudizi, Bologna.
H. Tajfel, 1981: Gruppi umani e categorie sociali, tr. it. Bologna 1995.
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