Il testo che segue è tratto dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, pubblicati postumi nel 1932. Il brano illustra un importante concetto sociologico che abbiamo studiato in classe, ovvero l'alienazione del lavoro nel mondo capitalistico. Abbiamo appreso, infatti, che nei precedenti modi di produzione l'alienazione era assente: c'era sì la schiavitù, la servitù, la subordinazione, il vassallaggio, lo sfruttamento, il disprezzo della vita umana: ma non c'era quel fenomeno tipico del capitalismo che è l'alienazione. Marx poi svilupperà in modo più "scientifico" queste sue tesi nei celeberrimi tre libri del Capitale.
Marx parte da un'affermazione che sarà poi caratteristica del suo materialismo storico: "noi partiamo dall'economia politica, da un fatto presente". Il materialismo storico parte cioè da quello che accade veramente, dalle concrete condizioni materiali di esistenza degli uomini, dal loro lavoro, non da ciò che dovrebbe essere (tipico del socialismo utopico alla Saint-Simon). La domanda che sorge allora è: perché l'operaio, come scrive Marx, è estraneo al prodotto del suo lavoro? Questo sembra nascondere "il segreto" del capitalismo: esso funziona tanto meglio quanto più i lavoratori sono "estraniati" da ciò che fanno, con conseguenze devastanti, sia sul piano psicologico-individuale che su quello sociale.
Nel discutere questo testo, vi ricordo che quando Marx scrive queste pagine non esistevano:
- sussidi di disoccupazione;
- cassa integrazione e altri "ammortizzatori sociali";
- Welfare State.
"Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente.
L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci.
Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraniazione, come alienazione.
La realizzazione del lavoro si presenta come annullamento in tal maniera che l'operaio viene annullato sino a morire di fame. L'oggettivazione si presenta come perdita dell'oggetto in siffatta guisa che l'operaio è derubato degli oggetti più necessari non solo per la vita, ma anche per il lavoro. Già, il lavoro stesso diventa un oggetto, di cui egli riesce a impadronirsi soltanto col più grande sforzo e con le più irregolari interruzioni. L'appropriazione dell'oggetto si presenta come estraniazione in tale modo che quanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno egli ne può possedere e tanto più va a finire sotto la signoria del suo prodotto, del capitale. Tutte queste conseguenze sono implicite nella determinazione che l'operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo. Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso. L'operaio ripone la sua vita nell'oggetto; ma d'ora in poi la sua vita non appartiene più a lui, ma all'oggetto. Quanto più grande è dunque questa attività, tanto più l'operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto più grande è dunque questo prodotto, tanto più piccolo è egli stesso. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea."
K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, trad. it. di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1970, pp. 71-72.
Nel discutere questo testo, vi ricordo che quando Marx scrive queste pagine non esistevano:
- sussidi di disoccupazione;
- cassa integrazione e altri "ammortizzatori sociali";
- Welfare State.
"Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente.
L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci.
Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraniazione, come alienazione.
La realizzazione del lavoro si presenta come annullamento in tal maniera che l'operaio viene annullato sino a morire di fame. L'oggettivazione si presenta come perdita dell'oggetto in siffatta guisa che l'operaio è derubato degli oggetti più necessari non solo per la vita, ma anche per il lavoro. Già, il lavoro stesso diventa un oggetto, di cui egli riesce a impadronirsi soltanto col più grande sforzo e con le più irregolari interruzioni. L'appropriazione dell'oggetto si presenta come estraniazione in tale modo che quanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno egli ne può possedere e tanto più va a finire sotto la signoria del suo prodotto, del capitale. Tutte queste conseguenze sono implicite nella determinazione che l'operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo. Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso. L'operaio ripone la sua vita nell'oggetto; ma d'ora in poi la sua vita non appartiene più a lui, ma all'oggetto. Quanto più grande è dunque questa attività, tanto più l'operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto più grande è dunque questo prodotto, tanto più piccolo è egli stesso. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea."
K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, trad. it. di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1970, pp. 71-72.
6 commenti:
Per Marx la struttura sociale è costituita sull’organizzazione economica che le comunità si danno.
La suddivisione in classi gerarchiche è chiamata stratificazione: alcune dominanti, altre subordinate.
La formazione delle classi sociali dipende dall’organizzazione produttiva, dalla proprietà: tra chi ha e chi non ha determinati beni.
Lui dice che il valore della merce non dipende solo dal tempo impiegato per realizzarlo ma anche dal plusvalore e cioè dal lavoro non pagato.
Il progresso del capitalismo ha portato l’uomo a vivere in povertà infatti, il valore dell’operaio ha lo stesso valore della merce. Quest’ultimo diventa una macchina di produzione. L’uomo può produrre e lavorare tanto senza avere però nessuna gratificazione in merito.
Si parla quindi di oggettivazione del lavoro e cioè la realizzazione e il prodotto di un oggetto.
Uomo, lavoro, oggetto: tre parole distinte a vederle però concretamente sono concatenate le une con le altre infatti l’oggetto esiste perché c’è un lavoro che è stato prodotto e realizzato grazie all’uomo.
L’idea di Marx quindi è quella basata sull’alienazione e cioè che il lavoratore non è più il padrone della sua vita poiché dipende solamente da chi lo fa lavorare. Con il tempo verrà sostituito da una macchina!
Secondo me il progresso ha portato dei benefici soprattutto nel capitalismo però le invenzioni future che, in vari settori del lavoro saranno sostituite da macchinari-robot come già presenti, non lascieranno più spazio al lavoro manuale dell’uomo portandolo in povertà. Quello che produrranno le macchine, l’essere umano non sarà in grado di averlo poiché non sarà nelle sue possibilità economiche.
Per Marx l’aspetto più evidente delle società è la stratificazione,la suddivisione in classi gerarchizzate. La formazione delle classi sociali dipende dall’organizzazione produttiva. Per quanto riguarda i modi di produzione per Marx, all’inizio esisteva il comunismo primitivo, nel quale l’uomo non conosce la proprietà privata e i beni sono comuni. Poi si afferma il feudalesimo,in cui il servo fa un servizio per il suo padrone in cambio di protezione da parte di quest’ultimo.
In un successivo momento abbiamo il capitalismo, nel quale c’è una separazione tra capitalisti , ossia coloro che posseggono i mezzi di produzione, e i proletari, cioè coloro che non li posseggono.
Qui i contadini diventano operai e gli resta solo la forza fisica per lavorare e ciò produce appunto alienazione,ossia il lavoratore non è più proprietario della sua vita, ma la “cede al lavoro “ . La vita dipende dal capitale,da forze anonime . Il capitalismo ha un’economia monetaria,basata sullo scambio, anche in rapporti umani. Il capitalista “ compra” il lavoratore,si appropria della sua forza lavorativa e lo paga per fare il proprio dovere.Con il termine “alienazione” si intende anche che gli uomini compiono sempre le solite azioni,il solito lavoro e ciò comporta a fare degli uomini, delle “menti alienanti” , una sorta di robot che ripete sempre la solita routine. Ma la cosa più sconcertante è che i lavoratori non hanno soddisfazione per il proprio lavoro svolto, la merce è un successo sociale, il lavoro comune poi alla fine va nelle mani di che ha il capitale. Per risolvere questo problema Marx vuole collettivizzare i mezzi di produzione, perché servono a tutti e non solo ai capitalisti e abolire la proprietà privata di questi ultimi. In più secondo lui,il valore di un bene non dipende solamente dal tempo di lavoro,ma anche dall’aggiunta di valore del fatto che per produrre un oggetto il lavoratore ha messo il suo valore fisico e questa concezione viene chiamata “ Plusvalore” ; il tempo in più non pagato impiegato dal lavoratore invece si definisce con” pluslavoro “ . Il capitalismo poi appunto crollerà in quanto i lavoratori sono sostituiti con macchine,servono impiegati,uso di computer e non si ha più bisogno di manodopera e questo crea un continuo licenziamento. Penso che le nuove innovazioni, basandomi anche sulla vita contemporanea, abbiano portato risultati positivi sotto un certo punto di vista, ma credo che siano anche la causa di una continua disoccupazione . Credo che le cosiddette “ menti alienanti” ci siano anche adesso, tutti noi compiamo sempre gli stessi movimenti, le stesse azioni e probabilmente la cosa più importante della vita di tutti noi è proprio il lavoro.
Con il capitalismo nasce un problema che non era mai sorto in precedenza: l’alienazione del lavoro. L’operaio quindi è estraneo a ciò che produce, l’oggetto prodotto sembra indipendente, il lavoratore stesso non può provare soddisfazione per ciò che produce perché non lo possiede e non lo ha fatto interamente; il problema non è perciò di carattere puramente materiale ma anche psicologico: l’operaio è annullato, non ha più valore e importanza rispetto a quello che produce. Attraverso la catena di montaggio nelle fabbriche egli è obbligato a compiere solo una parte del lavoro, tra l’altro sempre uguale, e questo comporta, oltre ad uno sforzo fisico e mentale notevole, alla perdita di personalità, l’operaio non “mette la sua firma” nell’oggetto costruito, come farebbe un artigiano, e non lo possiede. Non basta però che il lavoratore debba subire una pressione psicologica del genere, deve anche essere sfruttato, lavorando in condizioni pessime e con una retribuzione assai scarsa. Di conseguenza il capitalista si arricchisce sempre più a danno dell’operaio che al contrario si impoverisce; qui entrano in gioco quindi il pluslavoro, in altre parole la parte di lavoro che non viene retribuita all’operaio dal capitalista, e il plusvalore, che è la parte di guadagno dell’imprenditore resa tale dal lavoro non pagato. Anche in precedenza erano presenti forme di economia in cui il lavoratore era sfruttato, sottomesso, non sempre protetto e al quale spesso non erano riconosciuti alcuni diritti fondamentali; avanzando con gli anni poi, con l’avvento della fabbrica, degli imprenditori capitalisti e degli operai, a tutto questo si è aggiunta l’alienazione. Insomma, è chiaro che chi ci rimette è sempre il lavoratore e chi guadagna, è comunque il capitalista; è impossibile però pensare a un’economia diversa, in cui non esiste né lo sfruttato né lo sfruttatore.
Secondo la concezione sociologica di Marx, un tempo c'erano i modi di produzione come la schiavitù, la subordinazione, il vassallaggio. Oggi l'asse ruota tutto attorno al lavoro: parliamo di capitalismo. Questo modo di produzione su basa sulla divisione tra capitalisti (coloro che possiedono i mezzi di produzione) e proletari (coloro che non li possiedono, che li lavorano).Perciò i mezzi di produzione non ce l'ha più il lavoratore come in età feudale ma il capitalismo. Ciò porta la tragica conseguenza dell' alienazione, si vende quindi la propria forza lavoro, la nostra vita dipende da forze anonime che non possiamo controllare .Le macchine diventano capitale fisso, il lavoratore variabile. L'alienazione per Marx è un fenomeno gravissimo. Possiamo notare che il lavoro non è più considerato come qualcosa che mobilita l'uomo, anzi lo rende automa, alienato.
Il capitalismo ha come scopo l' accumulazione di capitali; i capitalisti fanno calcoli precisi per guadagnare, è questo il triste della situazione, assolutamente non per motivi ideali. Hanno un'organizzazione razionale della produzione. Viene data quindi più importanza alle merci che agli uomini. Il modo ideale di produzione per Marx consiste del condividere i beni, i mezzi ; per lui non c'è proprietà privata, lo definisce un comunismo primitivo, astratto, una specie di utopia. Secondo Marx l' alienazione può essere superata solo col rovesciamento del modo capitalistico: i mezzi di produzione devono essere di tutti (parliamo di collettivismo) e nessuno deve avere la proprietà totale dei mezzi di produzione.
Un breve commento ai post su Marx.
Ilaria: dovresti coordinare meglio il discorso e sistemare la sintassi (e qualche altro errore), perché risulta faticoso seguirti.
In particolare, cosa vuol dire "...però le invenzioni future che, in vari settori del lavoro saranno sostituite da macchinari-robot come già presenti"? Inoltre, perché il lavoratore nel modo di produzione capitalistico non ha "nessuna gratificazione in merito"? L'alienazione è solo una forma di insoddisfazione psicologica?
Caterina: i mezzi di produzione non si lavorano, ma si usano per produrre. Si tratta infatti di una combinazione di macchinari, utensili e materie prime. Inoltre è un po' improprio affermare che "i mezzi di produzione non ce l'ha [?] più il lavoratore come in età feudale ma il capitalismo": caso mai "il capitalista". Forse c'è poi un refuso ("il lavoro non è più considerato come qualcosa che mobilita l'uomo"), né è corretto dire che il comunismo che vuole Marx è "un comunismo primitivo, astratto, una specie di utopia". Semmai è il contrario: il comunismo di Marx rifiuta l'utopismo, proprio perché si basa sul materialismo storico, quindi su una concezione che Marx ritiene l'unica veramente scientifica della società: l'unica, cioè, che spieghi veramente, con criteri oggettivi (perché attinti dalla storia stessa), come funziona la società.
Silvia: il commento è molto chiaro.
Ylenia: non capisco a cosa ti riferisci quando parli di "menti alienanti", usando un participio presente. Intendevi forse parlare di "lavoro alienato"? o di "menti alienate"? Inoltre: se la diagnosi di Marx è corretta, come mai il capitalismo non è ancora crollato?
Si,intendevo dire "menti alienate",ossia che le persone ripetono sempre le stesse azioni come se fossero dei robot.Inoltre il capitalismo non è crollato perchè nel mondo c'è sempre bisogno di un sfruttatore e di uno sfruttato perchè altrimenti la vita risulterebbe un caos e comunque questo metodo è sempre esistito,anche nel passato, quindi è impossibile che cambi proprio ora.
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