27 settembre 2010

Laboratorio sociologico, 1: Saint-Simon

Con questo post inizia il laboratorio sociologico nella classe 3Bp, con l'obiettivo di discutere i testi e gli argomenti principali che incontreremo nel corso di sociologia e di avviare uno studio più attivo e meno pedantesco di questa affascinante materia.
Il testo che segue è dell'autore da studiare per oggi, ovvero Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon, singolare ed eccentrica figura di precursore del positivismo, del funzionalismo e, notoriamente, del socialismo utopistico.
Il manuale in uso afferma che "Saint-Simon ha una concezione organicistica, basata sull'analogia con gli organismi viventi. La società non è un semplice aggregato di esseri viventi, che agiscono ognuno per proprio conto, ma una vera e propria macchina organizzata, le cui parti contribuiscono ciascuna a suo modo al funzionamento dell'insieme" (Sociologia oggi, p. 138).
Vediamo allora un po' meglio in che cosa consiste questa "concezione organicistica" di Saint-Simon e che cosa comporta concretamente. Penso sia utile leggere un estratto da "L'organisateur" (L'organizzatore), una serie di fascicoli scritti tra il 1819 e il 1820 in cui Saint-Simon si rivolge direttamente al suo pubblico. Il sociologo A. Accornero ha scritto che "la società industriale nasce davvero con questo orgoglioso libello, che è l'apoteosi del fare, del produrre, dell'utilità, del valore e di tutti coloro che "costituiscono veramente il fiore della società"".

Da "L’Organisateur" di Claude-Henri de Saint-Simon

"Supponiamo che all'improvviso la Francia perda i suoi cinquanta migliori fisici, chimici, fisiologi, matematici, poeti, pittori, scultori, musicisti, letterati; i suoi cinquanta migliori meccanici, ingegneri civili e militari, artiglieri, architetti, medici, chirurghi, farmacisti, marinai, orologiai; i suoi cinquanta migliori banchieri, i suoi duecento migliori negozianti, i suoi seicento migliori coltivatori, i suoi cinquanta migliori fabbri ferrai, armaioli, conciatori, tintori, minatori, fabbricanti di panni, di cotoni, di sete, di tele, di chincaglierie, di ceramiche e porcellane, di cristalli e di vetri, i suoi cinquanta migliori armatori, le sue cinquanta migliori agenzie di trasporti, i suoi cinquanta migliori tipografi, incisori, orafi e altri specialisti nella lavorazione dei metalli; i suoi cinquanta migliori muratori, carpentieri, falegnami, maniscalchi, serraturai, coltellinai, fonditori, e le centinaia di altre persone di condizioni diverse, le più abili nelle scienze, nelle belle arti, nelle arti e mestieri che sommati assieme formano i tremila migliori scienziati, artisti e artigiani di Francia.
Poiché questi uomini sono fra tutti i Francesi i produttori più essenziali, coloro che forniscono i prodotti più importanti, coloro che dirigono i lavori più utili alla nazione, e che la rendono produttiva nelle scienze, nelle belle arti, nelle arti e mestieri, costoro costituiscono veramente il fiore della società francese; sono i Francesi più utili al loro paese, al quale procurano maggiori glorie, permettono di avanzare con maggiore rapidità sulla via della civiltà e della prosperità; nel momento stesso in cui dovesse perderli, la nazione diventerebbe un corpo senz'anima; cadrebbe immediatamente in uno stato d'inferiorità nei confronti delle nazioni con le quali oggi rivaleggia, e rimarrebbe loro inferiore sino a che non avesse posto riparo a questa perdita, fino a che una nuova testa non le fosse ricresciuta.
Per rifarsi da una disgrazia simile la Francia avrebbe bisogno per lo meno di una intera generazione, poiché gli individui capaci di distinguersi nei lavori di una utilità positiva sono vere e proprie eccezioni, e la natura non è affatto prodiga di eccezioni, soprattutto poi di questo tipo. Ed ora facciamo un altra ipotesi.
Ammettiamo che la Francia conservi tutti gli uomini di genio che possiede nel campo delle scienze, delle belle arti, delle arti e mestieri, ma abbia la sfortuna di perdere nello stesso giorno, Monsieur il fratello del Re, il duca d'Angouleme, il duca di Berry, il duca d'Orléans, il duca di Borbone, la duchessa d'Angouleme, la duchessa di Berry, la duchessa d'Orléans, la duchessa di Borbone, nonché Madamigella di Condé. E contemporaneamente perda tutti i grandi ufficiali della corona, tutti i ministri di Stato (con o senza portafoglio), tutti i consiglieri di Stato, tutti i dignitari, tutti i suoi marescialli, tutti i suoi cardinali, arcivescovi, vescovi, grandi vicari e canonici, tutti i prefetti, i sottoprefetti, gli impiegati nei ministeri, i giudici, e inoltre i diecimila più ricchi proprietari fra coloro che vivono come i nobili.
Questo fatto affliggerebbe certamente i Francesi che sono gente di buon cuore, incapaci di assistere con indifferenza alla scomparsa improvvisa di un numero così grande di loro compatrioti. Ma questa perdita di tremila personaggi, ritenuti i più importanti dello Stato, procurerebbe loro un dolore di carattere puramente sentimentale, non risultandone infatti alcun danno politico per lo Stato. Per prima cosa, infatti, sarebbe facilissimo occupare i posti divenuti vacanti; molti Francesi sarebbero in grado di esercitare le funzioni del fratello del Re altrettanto bene di Monsieur; molti sarebbero in grado di occupare il posto di principe con altrettanta dignità del duca di Berry, del duca d'Orléans, del duca di Borbone; e molte Francesi sarebbero ottime principesse, né più né meno che la duchessa d'Angouleme, la duchessa di Berry, Madame d'Orléans, di Borbone, di Condé.
Le anticamere del palazzo reale sono piene di cortigiani pronti a occupare i posti di grandi ufficiali della corona; nelle file dell'esercito militano moltissimi ufficiali altrettanto capaci nel comando dei nostri marescialli attuali.
E quanti impiegati valgono i nostri ministri di Stato! Quanti amministratori sono in grado di gestire gli affari dei dipartimenti molto meglio dei prefetti e sottoprefetti oggi in carica!
Quanti avvocati, buoni giuristi come i nostri giudici! Quanti parroci hanno le medesime capacità dei nostri cardinali, arcivescovi, vescovi, grandi vicari, canonici!
Quanto poi ai diecimila proprietari che vivono come i nobili, i loro eredi non avranno certo bisogno di un lungo apprendistato per emularli nell'arte di fare gli onori di casa. Solo i progressi delle scienze, delle belle arti e delle arti e mestieri possono assicurare la prosperità della Francia; ora i prìncipi, i grandi ufficiali della corona, i vescovi, i marescialli di Francia, i prefetti e i proprietari oziosi non lavorano affatto al progresso delle scienze, delle belle arti, delle arti e mestieri; lungi dal contribuirvi non possono che nuocere ad esso, giacché fanno di tutto per prolungare il predominio sinora esercitato dalle teorie congetturali sulle scienze positive; essi nuocciono necessariamente alla prosperità della nazione privando, come stanno facendo, del più alto grado di considerazione che loro compete legittimamente, gli scienziati, gli artisti, gli artigiani; essi vi nuocciono poiché impiegano i loro patrimoni in modi non direttamente utili alle scienze, alle belle arti, alle arti e mestieri; vi nuocciono poiché prelevano ogni anno sulle imposte pagate dalla nazione una somma da tre a quattrocento milioni, sotto forma di stipendi, pensioni, gratifiche, indennità, ecc., a titolo di compenso delle loro attività del tutto inutili alla nazione.
Queste ipotesi mettono in evidenza il fatto più importante della politica attuale, e consentono di coglierlo con un solo colpo d'occhio in tutta la sua estensione; esse dimostrano chiaramente, sia pure in forma indiretta, quanto poco perfezionata sia l'organizzazione sociale; come gli uomini si lascino ancora dominare dalla violenza e dall'astuzia, e come la specie umana (politicamente parlando) sia tuttora immersa nell'immoralità.
Poiché gli scienziati, gli artisti e gli artigiani, i soli dalla cui opera la società trae un'utilità positiva, e che non le costano quasi nulla, si trovano in posizione subalterna rispetto ai prìncipi e agli altri governanti, i quali per parte loro non fanno che uniformarsi, con maggiore o minore incapacità, alle consuetudini.
Poiché i dispensatori degli onori e delle altre ricompense nazionali devono generalmente la loro posizione di predominio soltanto al caso della nascita, alle lusinghe, all'intrigo e ad altre azioni poco stimabili. Poiché coloro cui compete l'amministrazione dei pubblici affari spartiscono fra di loro ogni anno la metà del gettito delle imposte, e non impiegano nemmeno un terzo dei contributi, di cui non si sono impadroniti personalmente, in cose utili agli amministrati. Queste ipotesi dimostrano come l'attuale società sia veramente il mondo alla rovescia. Poiché la nazione ha accolto come principio fondamentale quello che stabilisce che i poveri debbono dimostrarsi generosi nei confronti dei ricchi, e quindi le classi meno agiate rinunciano tutti i giorni a una parte del necessario per accrescere il superfluo dei grandi proprietari. Poiché i maggiori colpevoli, i ladri in generale, coloro i quali spremono tutti i cittadini e li derubano ogni anno di tre o quattrocento milioni, hanno poi il compito di punire i delitti minori contro la società. Poiché l'ignoranza, la superstizione, la pigrizia, l'amore dei piaceri costosi sono l'appannaggio dei capi supremi della società, e gli individui capaci, risparmiatori, operosi vengono impiegati soltanto in funzioni subalterne, come semplici strumenti.
Poiché in ogni tipo di attività, in una parola, sono gli uomini incapaci ad essere incaricati di dare ordini a quelli capaci; dal punto di vista morale, a quelli più immorali viene richiesto di educare i cittadini alla virtù; e da quello della giustizia distributiva, ai grandi rei viene affidata la massima autorità per punire le colpe dei delinquenti minori.
Sebbene questo estratto sia assai breve, ci sembra di aver sufficientemente dimostrato che il corpo politico era ammalato; che la sua malattia era grave e pericolosa; che esso non poteva contrarne di peggiore, dal momento che ne era colpito contemporaneamente nelle sue parti e nell'insieme".

Letto tutto con attenzione? Bene, adesso comincia il vostro confronto critico, che consiste:
- nel valutare la proposta sociale di Saint-Simon (è sensata? è fattibile? è attuale?)
- nel rapportarla alla situazione presente (è giusto che chi lavora e produce abbia più peso di chi è "improduttivo"? come viene valutata qui la "produttività" di una categoria sociale? che cosa facciamo di chi viene valutato "incapace"?)
- nella considerazione critica di questa proposta di organizzazione sociale, formulando un giudizio sensato su di essa (motivando l'accordo o il disaccordo, evitando valutazioni meramente soggettive del tipo "mi piace/non mi piace"): per un paese è peggio perdere tutti suoi scienziati e i suoi imprenditori o tutti i suoi uomini politici e di Chiesa?

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Buon lavoro.
Alessandro Bellan