12 gennaio 2010

Blacks out, un giorno senza immigrati

Un giorno accadrà.
Succederà, prima o poi, come nel fantaromanzo di Vladimiro Polchi.
Cantieri fermi, fabbriche chiuse, mercati vuoti. Operai, braccianti, raccoglitori, regolari o in nero, hanno detto basta.
Vecchi che si lamentano perché le badanti ucraine o russe hanno incrociato le braccia, hanno detto basta anche loro.
Consegne non effettuate dai corrieri o camionisti extracomunitari, stufi di turni massacranti a consegnare merce e pacchi vari ordinati su internet.
Messe non celebrate da parroci di origine latinoamericana.
Giocatori di calcio, basket, rugby che si rifiutano di scendere in campo, stufi dei cori razzisti. E magari anche i bambini e i ragazzi italiani con la pelle di un altro colore, che parlano tre lingue e conoscono in modo ancora imperfetto l'italiano, lingua non facile da apprendere nemmeno per gli autoctoni, e che finiranno in qualche classe differenziale, perché rallentano il programma.
Stufi, tutti, di sentirsi dire che sono un "peso", un "problema", un "rischio", un "fattore di insicurezza", che "non rispettano le regole", che "non rispettano i nostri valori" o, semplicemente, che sono "troppi" e che devono "tornare da dove sono venuti".
Jenner Meletti ne parla oggi su Repubblica, qui. L'eterna guerra contro l'altro, l'altro come rischio, minaccia, paura. Ma anche l'altro che consente agli individui incapaci di far valere meglio la propria rabbia e di renderla produttiva per un cambiamento di ciò che li rende rabbiosi e risentiti, magari perché non vengono trattati da cittadini ma da sudditi da istituzioni latitanti, o da meri ingranaggi nel meccanismo della produzione.
Quello che è successo in questi giorni a Rosarno è un segnale d'allarme molto forte, non solo delle tensioni che stanno esplodendo tra italiani e immigrati, ma anche di un degrado che minaccia, attraverso l'umiliazione di quei diseredati, anche chi sta "alla finestra" illudendosi che tanto lui non ne verrà toccato.

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