02 dicembre 2010

Sulla nascita della sociologia

Uno dei problemi che spesso si riscontrano con lo studio della Sociologia al liceo sociopsicopedagogico è che, purtroppo, il programma è "sfasato" rispetto a quello di storia e uno studente di terza si trova spesso in difficoltà quando sente parlare delle grandi trasformazioni avvenute nel secolo XVIII. La tentazione è quella di non complicarsi troppo la vita e quindi di ignorare una delle questioni centrali della sociologia, ovvero: perché c'è questa scienza? e a che serve? Molti di voi se lo saranno chiesto (e forse si saranno dati la tipica risposta studentesca: perché ce la fanno studiare). Credo però sia molto importante rispondere a questa domanda e non lasciare spazio a dubbi demotivanti. Studiare la società in modo rigoroso, scientifico, significa vedere quello che gli altri non vedono, non diversamente dallo studio dei neutrini, dei bosoni e dei quark.
Ricorderete, ne avevamo parlato un po' in classe, nelle prime lezioni, con riferimento ad Adam Smith e al rivoluzionario concetto di "società civile" - per la verità introdotto non proprio da Adam Smith ma da Adam Ferguson, un altro importante illuminista scozzese della metà del Settecento, autore del famoso Saggio sulla storia della società civile (1767).
La questione, comunque, è presente in molti studi introduttivi alla sociologia. Uno dei più importanti sociologi italiani, Franco Ferrarotti, la formula così:

La sociologia è... scienza in senso pieno. Ma perché questa scienza sorge e si afferma storicamente in concomitanza con la società industriale, vale a dire verso la metà del XVIII secolo?.

La risposta è che una scienza non è altro che un'impresa umana che cerca di dare una risposta precisa, rigorosa, a determinati bisogni umani. Si tratta allora di comprendere a quali bisogni umani rispondeva la "scienza della società", la sociologia.
Quello che bisogna aver chiaro è che la società moderna, nata dalle rivoluzioni politiche (americana e francese) di fine '700 e da una gigantesca ristrutturazione del modo di produzione (Marx docet), la rivoluzione industriale, è una società che non può più fare affidamento sulla tradizione come criterio di comprensione di quello che essa fa. E' una società borghese, produttiva, basata sul fare e sull'iniziativa individuale, che ha bisogno di comprendersi in modo radicalmente diverso da come si comprendevano le società basate su un modo di produzione pre-industriale, legittimate dall'autorità (Luigi XIV: "lo Stato sono io") e dalla tradizione.
L'illuminismo prima e il positivismo poi spingono la società sulla strada della razionalizzazione, nel senso che si ritiene che solo la scienza possa dare risposte legittime ai bisogni umani (Comte docet). E quindi, così come c'è una scienza della natura (fisica, chimica, biologia...) che spiega le leggi dei fenomeni naturali, ci dovrà essere una scienza della società che spiega le leggi dei fenomeni legati alla vita dell'uomo in società (Durkheim: i fatti sociali). Una società tradizionale, basata ad es. su credenze religiose, rifiuterebbe una "scienza della società" perché in queste società non è possibile indagare razionalmente, e quindi mettere in questione, le credenze religiose, i comportamenti e le questioni morali (il giusto, il bene, ecc.).
C'è anche da considerare un'altra cosa, che emerge molto chiaramente soprattutto con Tocqueville: la sociologia nasce quando si costituiscono movimenti, gruppi, associazioni, istituzioni e organizzazioni che non possono essere ricondotti alla sfera politica, alla sfera statale. Pensiamo agli industriali (vedi Saint-Simon), ai sindacati, al movimento degli operai, degli studenti, delle donne, ai giornali e all'opinione pubblica in generale: essi non sono riconducibili allo stato. Sono società civile, sono cioè autonomi rispetto a quella cosa che chiamiamo stato.
Ecco allora che si capisce perché nasce la sociologia: tutti questi movimenti, gruppi, istituzioni ecc. sono un oggetto autonomo di indagine e, come scrive ancora Ferrarotti, una scienza nasce quando ha un oggetto autonomo di indagine, quando cioè si vede con chiarezza che esiste una sfera autonoma della società rispetto allo stato. In una società feudale, scrive Ferrarotti,

in cui accanto al nobile c'è soltanto il contadino che, per la sua psicologia, per la funzione monotona, individuale, priva di rapporti che svolge, non è né organizzato né organizzabile in una classe, non c'è società civile, Questa nasce allorché nascono le classi in senso moderno, cioè le classi cittadine, organizzate, autoconsapevoli, perché ciascun individuo avverte quotidianamente i sentimenti e gli interessi che lo legano ad altri individui e la necessità di un'azione comune per i raggiungimento di fini comuni. Col nascere della classe sociale in senso moderno nasce dunque la società civile e con essa anche la rottura delle forme tradizionali religiose o naturalistiche di studio dell'uomo e della società e la nuova impostazioni di tali ricerche sul piano strettamente empirico. Nasce così la sociologia e nasce ponendosi come primo problema quello che la consapevolezza delle nuove classi le poneva come più pressante: il problema dell'ineguaglianza umana.

I brani che ho citato sono tratti da Che cos'è la società? di Franco Ferrarotti (Carocci 2003).

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