04 luglio 2012

Il mondo è una collezione di diaspore

"Ogni città  è una collezione di diaspore: di religioni, di linguaggi, di culture, di etnie. Come vivere al meglio tali condizioni? Verso i cittadini stranieri ci vogliono informalità, apertura e cooperazione".
In questa videolezione (tratta da Repubblica.it) Zygmunt Bauman introduce il confronto tra rappresentanti istituzionali,  intellettuali, sociologi e specialisti dal titolo "Lingua, immigrazione, integrazione. Parlarsi, incontrarsi,  conoscersi", promosso dalla Camera dei Deputati in collaborazione con la Società Dante Alighieri e IntegrAzione, che si terrà nell’aula di Montecitorio il 5 luglio.
Una riflessione sul  diritto di cittadinanza in Italia con al centro l’apprendimento della  lingua.
 

3 commenti:

giovanni ha detto...

Come lo si può spiegare alla classe politica? Tanto presa dalla crisi economica che, incapace di risolvere tutti gli altri problemi, sui quali non siamo informati abbastanza e, spesso, per niente.

giovanni ha detto...

Come si può spiegare tutto questo alla classe politica europea? Troppo presa dalla crisi economica da far passare in secondo piano tutte quelle problematiche che, prima della diffusione della notizia riguardo alla crisi, sembravano il vero problema dell'europa. Anche qui si vede come siamo informati in modo malsano !

Alessandro Bellan ha detto...

Come si può spiegare tutto questo alla classe politica? Magari dicendo ai politici di leggere, informarsi, istruirsi meglio, anziché pontificare sulla necessità dell'educazione permanente ai giovani. Temo infatti che la maggior parte dei politici sia piuttosto ignorante: leggono solo le rassegne stampa che quotidianamente gli propongono i loro "assistenti" (chiamati di solito con il nome dispregiativo di "portaborse"). Altro che leggere o ascoltare Bauman!
Eppure, almeno fino all'inizio degli anni '80, i politici erano anche persone colte: De Gasperi, Einaudi, Togliatti, Nenni, Moro, Fanfani, La Malfa, Spadolini... erano anche intellettuali, non degli "oratori a pagamento" (come li definisce Max Weber nel saggio "La politica come professione", che una volta era un testo sacro per chi voleva dedicarsi alla carriera politica e che adesso nessun politico sa nemmeno cos'è). Scrive Weber: "Anche quando occupa posizioni formalmente modeste, la coscienza di esercitare una influenza sugli uomini, di partecipare al potere su di essi, ma soprattutto il sentimento di tenere tra le mani il filo conduttore di eventi storicamente importanti, permette al politico di professione di elevarsi al di sopra della quotidianità". Oggi il politico è drammaticamente incapace di elevarsi al di sopra della quotidianità, come peraltro l'individuo comune, che, come dice bene Bauman, è "decretato a essere individuo" e se ad esempio perde il posto di lavoro "la colpa è solo sua, non dell'organizzazione delle cose: tutto ricade sulle spalle dell'individuo". La politica è diventata una sorta di esonero da questo imperativo che ci costringe a essere individui e che affligge, tormenta, ossessiona le persone comuni, i giovani precari, le donne che si arrabattano fra lavoro e famiglia, i cinquantenni esodati, i cassintegrati, gli schiavi dei "caporali"...
Passione, senso di responsabilità e lungimiranza erano le qualità che Weber riteneva decisive per il buon politico. La cultura, per lui, era scontata. Oggi la passione manca (conta di più la subordinazione al partito o alle lobbies di riferimento), il senso di responsabilità emerge solo quando si è sull'orlo del baratro, per pura autoconservazione, e la lungimiranza è sostituita, come già detto, da un colpevole appiattimento nel qui-e-ora.