06 agosto 2014

Funzione docente

Il tedio e l’insoddisfazione crescono sempre più, tanto che molti sembrano pronti a rinunciare alla libertà perché ritengono che la loro esistenza sia diventata troppo complicata e che sia ormai troppo difficile risolverne i problemi. Se per loro la vita non ha più significato, essi desiderano almeno non sentirsene responsabili e lasciare che la società porti il fardello dei loro fallimenti e delle loro colpe.
Il problema centrale del nostro tempo, il problema che ci sovrasta e che appare sempre più difficile, è quello di trovare il modo di raggiungere una piena realizzazione di noi stessi conservando allo stesso tempo la libertà e cercando di adattare la società all’una e all’altra di queste esigenze.
Bruno Bettelheim, Il cuore vigile. Autonomia individuale e società di massa,
Adelphi, Milano 1960 e 1998, p. 12.
 
Il Fatto Quotidiano ci spiega perché i docenti italiani sono i più vecchi fra tutti i docenti europei. Meno male che non ci si chiede perché sono così antipatici a tutti (alzi la mano chi - nel complesso, senza citare uno o più casi specifici - voterebbe per un insegnante). Come voleva Kierkegaard, la figura del "professore" è particolarmente odiosa in quanto tale, proprio perché lo si ritiene (a torto o a ragione) il monopolista del giudizio valutativo, un maniaco malpagato, spesso rintanato nella sua disciplina e nella vita stessa, pronto però a dispensare lezioni di vita, grillo parlante che nessuno ha eletto come suo giudice naturale o consigliere. Il docente - vero medium tra istanze sociali e pretese individuali, fra il tutto e la parte - sta perciò profondamente antipatico, in virtù di questo suo ruolo mezzano, anche ai meglio disposti e appare irragionevole, incoerente, puntiglioso persino quando cerca di essere razionale, lineare, empatico, umano, comprensivo; finanche quando - in nome di qualche ideologia pedagogica antiautoritaria e/o egualitaria - per dare una chance a tutti "non boccia nessuno", sostiene e aiuta ("è troppo buono"), sopporta e incassa ("è troppo remissivo"), persino quando si ritira nel suo particulare e non punta l'indice su nessun alunno. Si sospetta, a priori, un atteggiamento ipocrita, insincero, artefatto - tenersi buona la classe, non avere fastidi dai genitori.

Che selezioni o non selezioni, che insegni bene o che insegni male, il docente - come l'intellettuale in genere di cui parla Adorno - sbaglia, fallisce, manca il suo obiettivo. È come se il suo ruolo coincidesse con il suo destino, oscillante fra la ridicolaggine, la mediocrità, l'ineffettualità sociale. A questo proposito sarebbe da leggere Timidezza e dignità dello scrittore norvegese Dag Solstad (autore anche di Tentativo di descrivere l'impenetrabile), dove un professore di liceo cerca a tutti i costi nei suoi alunni di inculcare la sua nuova, a suo dire innovativa, interpretazione di un personaggio secondario dell'Anitra selvatica di Ibsen, con esiti tanto prevedibili quanto disastrosi.

Un tempo si parlava di "funzione" e di "classe" docente, visto che essa costituiva un corpus unitario, un gruppo sociale sufficientemente coeso e unito nella difesa della funzione morale, sociale e civile della scuola. Oggi non è più così, e la differenza si sente, eccome, nella "bella irresponsabilità" con cui ciascuno tende a proiettare sugli altri, come dice Bettelheim, "il fardello delle [proprie] responsabilità e delle [proprie] colpe".

Nel corso degli anni - fra mancati pensionamenti e concorsi inesistenti - gli aspiranti docenti si sono arrangiati come hanno potuto fra precariato (leggi supplenze), SSIS, TFA e altre sigle con la promessa di felicità dell'abilitazione e immissione in ruolo e in realtà tristemente inutili, frustranti, deprimenti. Nessuno che abbia mai proposto un prepensionamento "guidato" dei professori più anziani, i quali potrebbero essere ancora utili, restando a scuola magari part-time, ai colleghi più giovani come formatori esperti, counselor, specialisti in aree specifiche (dalla valutazione alla programmazione didattica).
 
Molti - genitori, studenti, docenti stessi - diranno che i docenti (generalizzando, di ogni ordine e grado) sono fra i pochi ad avere ancora il privilegio del posto fisso, dell'inamovibilità e altre tutele sindacali, figlie di un'epoca di lotte che avevano coinvolto tutta la società italiana (lo dicevano già Domenico Starnone e Sandro Veronesi, tanti anni fa). Si vorrebbero i docenti, insomma, come normali dipendenti o motivatori emozionali, senza tener conto della specificità della "funzione docente". Nella crisi della funzione docente si misura tutto il fallimento della cultura.

Nel contesto generalizzato di colpa, anche gli insegnanti hanno la loro parte di responsabilità, anche se va riconosciuto che non c'è un altra categoria sociale così bistrattata, derisa, aggredita. Quel "cuore vigile" di cui parla Bruno Bettelheim, quell'intelligenza critica, quella sensibilità attenta al particolare contesto formativo in cui ci si muove è stata via via smantellata da riforme, controriforme, circolari, decreti, pratiche, verbali, relazioni... La scuola è stata stritolata dal vorace serpente boa cartaceo che ha finito per demotivare uno dopo l'altro, ma non contemporaneamente, un po' tutti, creando le condizioni ideali per il burnout (patologia dei più motivati e dei volenterosi) e del lassismo (patologia sublimante dei selfish e dei self-centered). In mezzo quelli che cercano di non volersi troppo male e fanno del loro meglio per non peggiorare la situazione, con il contrappeso però dell'insipidità, eccesso di prudenza, atteggiamento occhiuto, guardingo, freddo e diffidente che è tutto il contrario di quel che dovrebbe essere la "funzione docente", salvaguardia di una vis critica non elusiva, non smorzante, non accondiscente con ciò che ci offre la misera autosufficienza del presente.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/27/docenti-ecco-perche-i-piu-vecchi-sono-in-italia-giovani-precari-esclusi-e-niente-concorsi/1041546/



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