28 ottobre 2008

Hanno tolto la sordina al razzismo

Gli immigrati sono incorreggibili. Fanno troppi figli. Fossero almeno bambini come gli altri, cioè bianchi e tranquilli, con una conoscenza perfetta dell' italiano. Ah, se potessero essere muti e anche un po' sordi, o magari invisibili! Di fatto, meglio ancora se fossero trasparenti, cioè inesistenti. Perché mai gli immigrati si sposano e fanno l'amore? Bisognerebbe chiederglielo quando arrivano in Italia. E perché le loro donne non fanno uso di contraccettivi? Prima, ai tempi felici in cui l'immigrazione era nascosta, lontana dai centri delle città, quando solo i maschi celibi venivano a lavorare in Europa, tutto andava per il meglio. Gli immigrati erano modesti e si facevano piccoli piccoli, tanto che finivano per scusarsi di esistere e scomparivano dietro i muri. Se qualche volta andavano in città, camminavano in punta di piedi senza far rumore, rasentando i muri, e al calar della sera si ritraevano nei loro luoghi di transito o città-dormitorio. Questo per quanto riguarda la Francia. Mentre l'Italia di oggi, che da Paese d'emigrazione è passata ad essere una delle mete degli immigrati, non conserva quasi più traccia delle sue memorie. Per fortuna Luchino Visconti ci ha lasciato Rocco e i suoi fratelli, un capolavoro che mostra le ferite dell'immigrazione interna italiana. Ma i politici di oggi non sono cinefili. Preferiscono la televisione, della quale hanno fatto il principale strumento della società dello spettacolo (scarica il testo, no copyright), come aveva previsto il filosofo Guy Debord. Sono interpellato oggi da cittadini italiani preoccupati per l'attuale deriva della politica del loro governo. L'Italia non è un Paese razzista, benché esistano anche qui, come ovunque, forme di razzismo tra la gente. Oggi però questo razzismo si esprime con una violenza inedita. A Milano è stato ucciso un giovane italiano che per sua sfortuna aveva la pelle nera. E anche altrove sono state commesse aggressioni dello stesso tipo. Non starò ad elencarle tutte; ma episodi del genere suscitano un legittimo allarme nella popolazione che assiste a un cambiamento rilevante del paesaggio umano in cui vive, e alle conseguenze sanguinose cui può portare il razzismo. In Francia è stato il Fronte nazionale - il partito di estrema destra - a sdoganare i fautori delle discriminazioni: li ha liberati e incoraggiati a dare libero sfogo ai più bassi istinti razzisti. Molti ormai manifestano senza più remore la loro avversione per la gente di colore, gli zingari, gli arabi, i musulmani ecc. E anche in Italia assistiamo allo stesso fenomeno, soprattutto da quando le dichiarazioni di alcuni politici berlusconiani hanno «autorizzato» la gente comune a dire a voce alta ciò prima si mormorava in sordina. Ed ecco arrivare le nuove norme sulla scuola. Norme non solo gravi e pericolose, ma anche demagogiche e inefficaci, che col pretesto di volere solo il bene dei bambini immigrati li inquadrano in una categoria discriminatoria. La creazione di classi speciali non servirà certo a risolvere i problemi dell'integrazione, che non si favorisce separando i figli degli immigrati, e ancor meno segnandoli a dito. Ho letto il testo di quella mozione: sembra scritta da un cittadino del Sudafrica dei tempi dell'apartheid, con la preoccupazione di scegliere le parole e le frasi evitando con ogni cura di far trasparire il razzismo che di fatto è sotteso a quelle norme. L'Italia è un grande Paese, una bella, immensa civiltà. E non merita di finire oggi in una deriva come quella di un velato razzismo. Se i figli degli immigrati non padroneggiano la lingua italiana non è colpa loro. La Svezia ha creato un programma di insegnamento della lingua che viene proposto, al momento dell'arrivo, agli immigrati e ai loro figli; ma non fa alcuna discriminazione tra gli alunni delle scuole. Di fatto, è attraverso i contatti e gli scambi nella vita quotidiana che i bambini apprendono la lingua di un Paese, e non certo all' interno di classi riservate ad alunni di livello inferiore. Non è così che ci si può attendere un sano sviluppo, e neppure l'integrazione di questi bambini nel tessuto sociale del Paese. E' venuto il momento di dire alcune verità all' Europa: non solo gli immigrati non se ne andranno, ma altri stranieri saranno chiamati a lavorare nei Paesi europei; i loro figli sono o saranno comunque cittadini europei; perciò non ha senso trattarli da immigrati, visto che sono nati sul suolo europeo e vi trascorreranno la loro vita. E' urgente che l'Europa adotti una politica comune per l'immigrazione. A tal fine sarebbe utile e necessario avviare un lavoro pedagogico nei due sensi: dar modo ai nuovi venuti di apprendere le leggi e i valori del Paese d' accoglienza, informandoli dei loro diritti e doveri; e al tempo stesso rivolgersi ai popoli europei, spiegando loro perché l'Europa ha bisogno di immigrati, da dove vengono, come vivono, in quale misura pagano le tasse ecc. Infine - anche solo per finzione o per gioco - si dovrebbe cercare di immaginare cosa accadrebbe se da un giorno all' altro tutti gli immigrati decidessero di rimpatriare; e chiedersi in quali condizioni si ritroverebbe allora l'economia del Paese. In Francia, nonostante qualche insuccesso, la scuola ha costituito un magnifico strumento di integrazione: è qui che si impara veramente a vivere insieme. Se ad alcuni alunni capita di trovarsi in difficoltà, non è perché sono immigrati, e ancor meno per via del colore della loro pelle. Non è mai esistita una scuola formata solo da primi della classe; c'è sempre chi riesce meglio degli altri, ed è sempre stato così. Infine, un'ultima constatazione: è razzismo ciò che trasforma le differenze in disuguaglianze. 

TAHAR BEN JELLOUN
(Fonte: La Repubblica del 25 ottobre 2008 - pagina 39 - sezione R2)

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