08 luglio 2013

La globalizzazione dell'indifferenza

"La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!".

Quanto detto oggi da papa Francesco a Lampedusa di fronte ai migranti e ad altre diecimila persone mi ha fatto ricordare quanto scriveva Emmanuel Lévinas in Altrimenti che essere o al di là dell'essenza. Papa Francesco ha pronunciato parole piene di dignità umana e di critica sociale al tempo stesso, due dimensioni sempre più disertate tanto dalla politica quanto dalla filosofia nonché da scienze umane sempre più asettiche e neutre. Qualcuno ricorderà quei politici che proponevano di sparare sui barconi che trasportavano in una rinnovata tratta degli schiavi i disperati che vengono a cercare sulle nostre coste una risposta alla loro miseria e disperazione o una semplice fuga da vari orrori.
A coloro che invece dimenticano facilmente è dedicato questo passo di Levinas. Nella sua visione filosofica il fatto che i migranti ci facciano sentire in ostaggio, circondati, assediati, minacciati, ci restituisce alla nostra dimensione umana più autentica, di esposizione totale, di radicale nudità di fronte al volto dell'altro, insidiati, espropriati dalla sua trascendenza. Questo essere in ostaggio fa contrarre il nostro Io ipertrofico, artefice di quella "cultura del benessere" che, come dice papa Francesco, "produce indifferenza". L'altro sostituisce il nostro bisogno di autocertezza, di coincidenza con noi stessi: ci decentra dal nostro compiaciuto stare presso noi stessi, ciechi, sordi e muti di fronte alle sofferenze e alle ingiustizie sociali. La prossimità del terzo, ci insegna Levinas, introduce la giustizia. Solo in questo modo l'essere sarà non-indifferenza, sarà apertura, sarà finalmente piena e compiuta responsabilità di fronte all'altro, sarà cioè giustizia.

Perché Altri mi riguarda? Che è Ecuba per me? Sono io il custode di mio fratello? - Queste domande non hanno senso se si è già presupposto che l'Io ha cura solo di Sé, se è solo cura di sé. In questa ipotesi, in effetti resta incomprensibile come il fuori-dall'Io assoluto - Altri - mi riguardi. Ora, nella "preistoria" dell'Io posto per sé, parla una responsabilità. Il sé è da cima a fondo ostaggio, più anticamente dell'Ego, prima dei principi. Non si tratta per il Sé, nel suo essere, di essere. Al di là dell'egoismo e dell'altruismo c'è la religiosità di sé.
E' a causa della condizione di ostaggio che nel mondo ci può essere pietà, compassione, perdono e prossimità. Anche la più piccola cosa, anche il semplice "dopo-di-voi-Signore".
L'incondizione di ostaggio non è il caso limite della solidarietà, ma la condizione di ogni solidarietà.
Emmanuel Levinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza (1974), Milano 1983, pp. 148-149.

1 commento:

Laura D. ha detto...

A mio parere, un altro collegamento con quello detto dal Papa a Lampedusa si può trarre dalla "Società individualizzata" di Z. Bauman, nella quale il sociologo descrive la nostra società dominata dalla individualizzazione e da un grado di deresponsabilizzazione.
Inoltre, lo straniero per Bauman è fonte di incertezza e imprevedibilità, un "essere" da cui non si sa bene cosa aspettarsi.
Da questa visione negativa dell'alterità bisogna slegarsi e non rimanere indifferenti, o fare finta di essere interessati solo perché il Papa si è interessato a questa situazione che dura da anni. L'uomo è un animale sociale e empatico, non può e non deve vivere solo in una effimera bolla di sapone, nel proprio mondo bello e ovattato e ignorare certe situazioni.
Mi auguro che chi ci governi faccia qualcosa di concreto al più presto e non solo a parole.