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11 novembre 2010

Laboratorio sociologico, 2: Karl Marx

Il testo che segue è tratto dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, pubblicati postumi nel 1932. Il brano illustra un importante concetto sociologico che abbiamo studiato in classe, ovvero l'alienazione del lavoro nel mondo capitalistico. Abbiamo appreso, infatti, che nei precedenti modi di produzione l'alienazione era assente: c'era sì la schiavitù, la servitù, la subordinazione, il vassallaggio, lo sfruttamento, il disprezzo della vita umana: ma non c'era quel fenomeno tipico del capitalismo che è l'alienazione. Marx poi svilupperà in modo più "scientifico" queste sue tesi nei celeberrimi tre libri del Capitale.
Marx parte da un'affermazione che sarà poi caratteristica del suo materialismo storico: "noi partiamo dall'economia politica, da un fatto presente". Il materialismo storico parte cioè da quello che accade veramente, dalle concrete condizioni materiali di esistenza degli uomini, dal loro lavoro, non da ciò che dovrebbe essere (tipico del socialismo utopico alla Saint-Simon). La domanda che sorge allora è: perché l'operaio, come scrive Marx, è estraneo al prodotto del suo lavoro? Questo sembra nascondere "il segreto" del capitalismo: esso funziona tanto meglio quanto più i lavoratori sono "estraniati" da ciò che fanno, con conseguenze devastanti, sia sul piano psicologico-individuale che su quello sociale.
Nel discutere questo testo, vi ricordo che quando Marx scrive queste pagine non esistevano:
- sussidi di disoccupazione;
- cassa integrazione e altri "ammortizzatori sociali";
- Welfare State.

"Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente.
L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci.
Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraniazione, come alienazione.
La realizzazione del lavoro si presenta come annullamento in tal maniera che l'operaio viene annullato sino a morire di fame. L'oggettivazione si presenta come perdita dell'oggetto in siffatta guisa che l'operaio è derubato degli oggetti più necessari non solo per la vita, ma anche per il lavoro. Già, il lavoro stesso diventa un oggetto, di cui egli riesce a impadronirsi soltanto col più grande sforzo e con le più irregolari interruzioni. L'appropriazione dell'oggetto si presenta come estraniazione in tale modo che quanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno egli ne può possedere e tanto più va a finire sotto la signoria del suo prodotto, del capitale. Tutte queste conseguenze sono implicite nella determinazione che l'operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo. Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso. L'operaio ripone la sua vita nell'oggetto; ma d'ora in poi la sua vita non appartiene più a lui, ma all'oggetto. Quanto più grande è dunque questa attività, tanto più l'operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto più grande è dunque questo prodotto, tanto più piccolo è egli stesso. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea."
K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, trad. it. di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1970, pp. 71-72.